Friuli: viaggio in una terra di confine

Terra di confine tra Est e Ovest, il Friuli è da sempre stato crocevia di popoli, cosicché la presenza di un patrimonio culturale tanto eterogeneo non dovrebbe sorprendere. Eppure mi ha sorpreso riscontrare tutto questo gustando un piatto tradizionale o osservando un’insegna all’angolo di una strada. Dettagli di una storia minore, ma anche preziose testimonianze di una ricchezza che non è confinata nelle sale dei musei, ma che vive ovunque, pervadendo anche la cucina e la lingua del suo popolo, il furlan.

Parlando dell’incredibile varietà che caratterizza questa terra, non è possibile scegliere punto di partenza migliore di Cividât, Cividale del Friuli. Qui, dove nell’antichità si sono succeduti Celti, Romani e Longobardi. Qui, dove ogni anno nel mese di luglio si svolge il Mittelfest, un festival internazionale dedicato alla cultura mitteleuropea.
Se all’insediamento celtico appartiene l’ipogeo, un insieme di grotte artificiali, sulla cui originaria funzione non è stata fatta ancora chiarezza, al periodo romano risale invece l’antico nome della città, Forum Iulii, che col tempo ha finito per identificare l’intero Friuli.È però ai Longobardi che si devono alcuni dei gioielli custoditi nel Museo Cristiano e in quello archeologico di Cividale. In questo post mi soffermerò solo su una delle espressioni artistiche più elevate della cosidetta Rinascenza liutprandea: il Tempietto Longobardo. L’antica cappella palatina, in seguito oratorio del monastero di Santa Maria a Valle, da sola merita la visita a Cividale. Anche se il mosaico è andato perduto, così come i colori che un tempo rivestivano gli stucchi, l’eleganza delle sei figure femminili disposte ai lati della finestra centrale basta a smentire il pregiudizio storiografico che vuole il regno longobardo un periodo buio, di totale distacco dalla classicità. Fortemente allungate, queste sante indossano infatti tunica e palla, tipiche vesti romane, e la loro solenne ieraticità rimanda all’arte bizantina.

Appena usciti dalla cappella, si sente lo scroscio del Natisone che scorre tra pareti scoscese su cui è arroccato l’intero complesso monastico. Seguendo il corso del fiume e attraversando il Ponte del Diavolo, dirigiamoci a Est, verso il confine con la Slovenia, là si trova infatti la seconda tappa del nostro itinerario: le Vals dal Nadison, le valli del Natisone. E mentre la strada corre veloce sotto le ruote, tutto intorno si dispiega a perdita d’occhio un’immensa distesa di verde. Boschi e prati dominano l’intero paesaggio e rivestono i versanti delle Prealpi Giulie meridionali fino alle loro vette. Sentinelle delle valli, della loro natura ancora incontaminata e della miriade di paesi che le punteggiano, sono le chiesette votive. Costruite perlopiù in posizione rialzata, ce ne sono ancora 44 disseminate nel territorio del Natisone e tutte risentono di una forte influenza del mondo slavo, riscontrabile per esempio nei grandi altari lignei dorati in cui il Santo patrono occupa una posizione centrale.

Continuando il nostro viaggio nelle valli del Natisone, vi porto adesso alla scoperta dell’isola che non c’è. Proprio così, nessuna ‘seconda stella a destra’, basta andare verso l’estremo lembo orientale del Friuli, al confine con la Slovenia, ‘questo è il cammino e poi dritto fino’ a Topolò. Ok, non sarà un’isola in senso stretto, ma che sia un’isola di creatività non c’è dubbio, tanto che ha una stazione che però è una non-stazione e un festival che è un non-festival. Siete un po’ confusi? Sappiate allora che, malgrado non abbia nessun bar né ristorante né negozio, questo paese ha in compenso un aeroporto per soli arrivi, un ostello per suoni trascurati, un Istituto di Topologia, un ufficio postale per gli Stati di coscienza e una biblioteca che colleziona solo i libri del cuore. Sempre più confusi? Aggiungo che questo paese ha poco più di trenta abitanti ma in estate si popola di artisti provenienti da tutto il mondo che si esibiscono nel non-festival Stazione di Topolò-Postaja Topolove. Se siete ancora confusi, non vi resta che avventurarvi per le stradine in acciottolato del paese. Scoprirete per conto vostro i motivi per cui Topolò è uno dei dieci borghi più belli d’Italia come sostiene la rivista tedesca di viaggi Geo Saison.

Difficile descrivervi la piacevole sensazione di pace che ho provato visitando questi luoghi, ma ancora più difficile pensare che un tempo questa regione è stata teatro di alcune delle più feroci pagine della storia contemporanea: la Grande Guerra, gli eccidi nazisti, la barbarie delle foibe e gli episodi di tensione negli anni della cortina di ferro. E come se non bastasse, quel 6 maggio del 1976 si svegliò l’Orcolat, il cui urlo squassò in un istante il silenzio di una sera primaverile. Spezzò molte vite umane, distrusse interi paesi, ma non spezzò la forza di un popolo, quello friulano, la cui capacità di risollevarsi dalle macerie, di organizzarsi e di ricostruire tempestivamente, come testimoniato nel museo Tiere Motus a Venzone, ha fatto sì che si parli di Modello Friuli, un modello per l’Italia, ma non solo.

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